New Labour, tris annunciato

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Blair vince ma non convince e intanto prepara la successione. In pole position il delfino-rivale Gordon Brown, Cancelliere dello Scacchiere

Vittoria storica, ma dimezzata. La stampa di tutto il mondo giudica così la vittoria di Tony Blair, che ha conseguito il suo terzo mandato consecutivo. Nella storia britannica moderna solo la conservatrice Margaret Thatcher c’era riuscita. Affermazione storica, dunque. Ma risicata, visto che i laburisti perdono alla Camera dei Comuni un centinaio di seggi. Ha pesato, sul risultato elettorale, la guerra in Iraq. Alla vigilia della consultazione gli analisti avevano preconizzato che l’impegno mediorientale di Londra al fianco di Washington avrebbe determinato sì un’emorragia di voti dal Labour, ma non sarebbe stato il fattore chiave delle elezioni.

Sanità, economia, lavoro, scuola avrebbero aiutato Mr. Blair a spuntarla con disinvoltura. Labour in calo, quindi, ma maggioranza solida. La maggioranza del Labour scende sensibilmente, passando da 161 a 66 seggi. Uno scarto del genere garantirebbe la governabilità assoluta in qualsiasi Paese dell’Europa continentale. In Gran Bretagna, Paese dell’uninominale (all’inglese: winner take-all), non è proprio così. Infatti sulla maggioranza riformista del New Labour blairiano peserà indubbiamente il rischio rappresentato dai franchi tiratori della sinistra interna, poco tolleranti nei confronti del premier, che ha portato il partito laburista in guerra e che sperimenta formule economiche giudicate eccessivamente liberiste. Chi non ricorda il teorema blairiano del “siamo tutti figli della Thatcher”?

Una guerra e cento seggi in meno: fino a che punto si può parlare di vittoria? L’affermazione del Labour è dovuta in gran parte all’inconsistenza degli avversari. I conservatori, dopo l’era thatcheriana, hanno smarrito la bussola. Il programma da loro presentato è stato un mix di conservatorismo, antieuropeismo e mancanza di idee. Non hanno potuto contestare Blair sulla guerra in Iraq, perché a suo tempo la sostennero, né hanno proposto linee economiche alternative a quelle sviluppate in questi anni da Gordon Brown. Flessibilità, fluidità e privatizzazioni: un’alternativa alla politica economia laburista non c’è. Di questo va dato merito a Gordon Brown, Cancelliere dello Scacchiere (il nostro ministro delle Finanze), che ha saputo spostare il baricentro politico del Labour verso il centro, proponendo politiche liberiste e flessibili per pescare voti dal bacino storico dei Tories.

L’altra opposizione al Labour, quella dei Lib-Dem, è rimasta ferma al 22 per cento. Ci si aspettava un’avanzata del partito di Charles Kennedy, invece i Lib-Dem non hanno rispettato i pronostici. Quale il motivo? Sostanzialmente, la critica mossa ai liberaldemocratici è quella di aver cercato di contrastare il Labour da posizioni di centro-sinistra. I Lib-Dem, secondo certa stampa, sarebbero una riedizione del Labour Party, con la variante di una maggiore attenzione all’Europa e alla tutela dei diritti civili. Troppo poco, per accattivare gli elettori.

Così Blair ha vinto. Ora dovrà affrontare l’opposizione interna e cercare, con pazienza e moderazione, di costruire il progetto laburista del futuro, quello cioè senza di lui. L’obiettivo è continuare sulla falsa riga di ciò che è stato fatto fino ad ora: in economia continuerà la politica di privatizzazioni e verrà riproposto il tema della flessibilità, ma allo stesso tempo il New Labour si prodigherà per evitare che le fasce sociali meno protette vengano penalizzate dalla progressiva erosione dell’intervento pubblico in economia.

In politica estera Blair continuerà ad affiancare gli Stati Uniti e, in linea con la tradizione britannica, si proporrà come testa di ponte tra Washington e l’Unione europea. Il premier sa però che se la situazione in Iraq non si evolverà e se gli attentati e l’instabilità politica continueranno a caratterizzare il panorama politico locale, il consenso dei laburisti rischia di scendere ulteriormente. Per questo motivo Blair, da un po’ di mesi a questa parte, ha rispolverato la questione mediorientale, cercando di mettersi alla testa di quel gruppo di Stati impegnati nell’accelerare il processo di pace in Palestina. Una mossa accorta, studiata ad hoc per nascondere le difficoltà in Iraq e per accattivare l’opinione pubblica nazionale e mondiale, di solito sensibile a un’immagine solidale e di sinistra del Labour Party.

Blair, si diceva, sa che dovrà cedere prima o poi le redini del comando. La persona giusta per la successione dovrebbe essere Gordon Brown, vero artefice della vittoria laburista. Il Cancelliere dello Scacchiere ha gestito bene l’economia; negli ultimi anni la Gran Bretagna, a differenze dell’Europa continentale, ha aumentato i propri indici di occupazione e di ricchezza. Ciò ha permesso al Labour di vincere, nonostante il fattore Iraq. Brown, che ha zelantemente affiancato Blair nella campagna elettorale, è consapevole che sarà il prossimo leader del Labour e che avrà la responsabilità di portare il Labour alla quarta vittoria elettorale consecutiva, continuando a far convivere europeismo e americanismo, mercato e welfare state, sinistra riformista e radicale. Blair, con difficoltà c’è l’ha fatta.

Brown dovrà dimostrare di possedere le qualità da equilibrista di Tony Blair, primo leader laburista ad abitare per tre mandati di fila a Downing Street.