L’olio della discordia

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Quello ottenuto dai frutti della Palma ha una sorprendente versatilità di usi e rappresenta oggi uno dei mercati di materie prime maggiormente in crescita nel mondo

Uso domestico
In ambito domestico questo prodotto è ampiamente utilizzato in due aree di prodotti di uso comune: alimentari e cosmetici. Il fatto di essere l’olio vegetale commestibile più economico al mondo, lo rende infatti il più utilizzato nei cibi preconfezionati. Un utilizzo accresciuto in tempi recenti dall’elevata domanda in Occidente per i prodotti contenti olii vegetali, più salutari e dietetici di quelli animali (ricchi di grassi saturi). L’olio di palma è largamente utilizzato in svariate tipologie di cibo, dagli hamburger di Burger King alla Nutella, dai formaggi Philadelphia alle patatine Pringles, e ancora in cioccolata, pane confezionato, margarina, ecc. Come cosmetico, l’olio di palma è utilizzato invece per la preparazione di svariati prodotti, da una semplice saponetta per le mani ai rossetti.

Usi “energetici”
Fermo restando il suo prezzo estremamente competitivo, l’olio di palma oltre ad essere commestibile, è anche “combustibile”. Questo secondo utilizzo è quello che oggi ne determina maggiormente la crescita esponenziale di mercato, grazie all’attuale scenario di frenetica ricerca di alternative al petrolio. Come nel caso dell’oro nero, gli utilizzi sono prevalentemente di due tipi: combustibile ed energetico.

Esistono varie forme di biocarburanti (biodiesel, bioetanolo, ecc.), differenti per preparazione e rese. L’Olio di Palma è utilizzato come materia prima preferenziale per la composizione di qualsiasi di queste varietà. Il biodiesel, ad esempio, è già attualmente utilizzabile nei normali motori diesel, se mischiato con normale diesel di origine “minerale”. In Italia, questo carburante si produce prevalentemente con olio di palma o di colza. A livello politico, la governance europea punta molto sui biocarburanti, che rappresentano uno dei piloni della strategia comunitaria di riduzione delle emissioni di gas serra, su cui investono molto i mercati tedesco e francese. Similmente gli Stati Uniti promuovono la produzione di bioetanolo con sussidi statali, a sostegno dell’agricoltura del mais e come strumento per contrastare la dipendenza dal petrolio. Anche le convenzioni internazionali sul clima (protocollo di Kyoto e seguenti) promuovono indirettamente i biocarburanti, premiandone la produzione con l’acquisizione di “crediti di emissione” (permessi a produrre più “gas serra”).

L’utilizzo come biomassa interessa invece una fetta minore del mercato dell’olio di palma, ma è quella col maggiore tasso di espansione. Quella ottenuta nelle centrali a biomasse è una energia considerata rinnovabile, in quanto nasce dal trattamento (“cogenerazione”) di materiale organico. Le materie prime dovrebbero avere provenienza negli scarti dell’agricoltura, dell’allevamento, dei rifiuti (organici). In realtà l’olio di palma è un esempio di materia prima organica considerata ideale, anche in funzione del costo contenuto, all’utilizzo nelle centrali a biomasse. Questo significa che risulta più redditizio aumentarne la produzione o comprarlo piuttosto che fare ricorso ad altro tipo di materie prime, con il risultato di perdita dei vantaggi in termini di “sostenibilità” di questa fonte energetica.

Olio da tutto il mondo
Il primo produttore mondiale di olio di palma è la Malesia. Seguono l’Indonesia, l’Australia, il Benin, il Kenya e la Colombia. Lo Stato maggiormente sotto i riflettori è l’Indonesia, per le sue intenzioni di diventare in breve tempo il primo esportatore mondiale. Nei paesi africani al momento il volume di produzione è di gran lunga inferiore, ma in quasi tutti i casi quella dell’olio di palma sta diventando un’esportazione sempre più centrale al sostegno dell’economia nazionale.

Deforestazione
La deforestazione è la principale problematica legata all’aumento della produzione dell’olio di palma. In Indonesia, l’ambizione di essere produttore leader si traduce nella sistematica distruzione di una delle principali foreste primarie del mondo, per fare spazio ai nuovi insediamenti agricoli industriali. Secondo quanto riportato dalle ong internazionali, le “torbiere” indonesiane vengono tagliate per permettere il prelievo del legno commerciabile, dunque viene incendiato ciò che resta delle foresta per rendere più fertile e idonea la terra, il tutto a ritmi sorprendenti. Questo processo comporta che da una parte viene devastato uno dei principali “polmoni verdi” della terra, dall’altra con gli incendi si liberano nell’aria enormi quantitativi di anidride trattenuti dalla foresta negli anni. Tanto che c’è chi arriva a dire (ong “Wetlands International”) che l’Indonesia possa essere considerata oggi il terzo paese più inquinante al mondo dopo Stati Uniti e Cina.

La devastazione forestale sistematica e continua implica anche il rischio, in termini naturali, della perdita della biodiversità, con numerose specie sempre più vicine all’estinzione, di cui l’esempio più noto è quello degli oranghi.

Minaccia alla popolazione e fame nel mondo
L’altro aspetto del fenomeno è l’incidenza sulla popolazione. In quasi tutti i paesi produttori sono scoppiati conflitt. In Indonesia gli abitanti si trovano inermi di fronte alla distruzione sistematica delle loro terre, causa per molti delle inondazioni che hanno coinvolto spesso il paese negli ultimi anni. In Colombia, il piano di intensificazione delle coltivazioni colpisce la zona della costa pacifica, provocando una sorta di diaspora forzata della popolazione Afro Colombiana che vi vive in maggioranza, a causa degli scontri con i paramilitari. La situazione risulta controversa anche per la partecipazione diretta del governo colombiano e degli Stati Uniti, tramite il programma USAID, nell’insediamento di piantagioni e, indirettamente, dei paramilitari.

Per quanto riguarda l’uso come biocarburante, emerge un’ulteriore inquietante questione. Essendo l’olio di palma anche commestibile, il risultato è che il mercato alimentare dei paesi produttori si trova improvvisamente in competizione con uno internazionale, ben più redditizio, di energia e combustibili. Il problema ha già cominciato a produrre i suoi effetti. Sollevazioni popolari si sono verificate in Messico e in numerosi paesi dei Carabi a causa dell’aumento del prezzo del grano (altro “combustibile”), ma anche in Asia e in Africa, sempre in risposta all’aumento esponenziale del prezzo di alimenti di sostegno primario. In Africa, in paesi come il Kenya e il Benin, l’olio di palma è già in grave difficoltà a coprire il fabbisogno interno. La rilevanza della questione l’ha fatta approdare in questi giorni alle Nazioni Unite, dove è scoppiata la polemica in particolare riferimento alla situazione sudamericana, innescata dal presidente boliviano Evo Morales e dal suo corrispettivo peruviano Alan Garcia.

RSPO e l’Olio Sostenibile
L’RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil) è un organismo che mira a regolamentare la produzione dell’olio di palma, per imporle dei criteri “sostenibili”. Il problema sembra essere che, al di là della partecipazioni di organismi internazionali come Oxfam e WWF, si tratta di un organo di autoregolamentazione di mercato, in cui le decisioni vengono prese dalle stesse aziende che vi dovrebbero sottostare: dai produttori finali, alle imprese che coltivano, alcune (come la Duta Palma) protagoniste del processo di intensificazione della produzione in aree critiche come la foresta indonesiana. Ne segue che gli standard di tutela promossi risultano inadeguati e inefficaci, ma hanno anzi l’effetto opposto di legittimare come sostenibile una produzione scriteriata. L’Unilever, multinazionale che opera prevalentemente in cosmetici ed alimenti, è insieme presidente dell’RSPO e tra le prime importatrici di olio di palma indonesiano. Notizia di questi giorni è però la sua intenzione di riformare in maniera più efficace l’RSPO, riconosciuta inadeguata a seguito di una campagna di pressione esercitata sulla multinazionale da Greenpeace.

L’alternativa indicata all’unisono alla produzione di olio di palma in agricoltura industriale, con tutte le problematiche relative, è quella di un olio realmente sostenibile. Con questo termine si intende un olio di palma coltivato in appezzamenti di piccole e medie dimensioni, affidato alla popolazione locale sulla base delle esigenze e delle possibilità reali del territorio. Una simile soluzione necessita però degli incentivi ai paesi produttori, che altrimenti dovrebbero irrealisticamente rinunciare ad un mercato estremamente più redditizio. Rientra in questa logica la richiesta del governo Indonesiano, in ambito Onu, di ricevere finanziamenti in cambio della mancata deforestazione. A oggi però non esistono strumenti internazionali che affrontino in maniera efficace questo fenomeno.