Ken Saro Wiwa

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Storia dell’intellettuale nigeriano difensore dei diritti del popolo Ogoni ucciso nel 1995 dalla giunta militare al potere nel suo Paese

Kenule Benson Tsaro Wiwa – meglio conosciuto come Ken Saro Wiwa – fu intellettuale e scrittore nigeriano di straordinario talento. Nasce il 10 Ottobre 1941 a Bori, nella regione del Delta del Niger. Il padre, Jim Beesom Wiwa, uomo di affari, e la madre Widy, lo considerano fin da piccolo un bambino prodigio. All’età di 13 anni vince una borsa di studio al Government College di Umuhaia (capitale dello stato federato di Abia, nel sud est della Nigeria). Dopo la laurea conseguita all’università di Ibadan, Saro Wiwa insegna per alcuni anni prima ad Umuhaia e poi all’università del Lagos. I suoi primi lavori appaiono sulla rivista universitaria studentesca The Horizon di cui è anche il curatore. Sebbene i suoi interessi e i suoi obiettivi riguardino principalmente il teatro, intorno alla metà degli anni ’80 si afferma come uno dei principali scrittori di prosa nigeriani con le opere: Songs in a Time of War (1985), Sozaboy (1985) e A Forest of Flowers (1986).

Al lavoro artistico, Saro Wiwa affianca da subito un notevole impegno nella vita pubblica che lo vede ricoprire – fin dagli anni ’70 durante la sanguinosa guerra civile del Biafra – ruoli istituzionali importanti, per poi porsi in aperto contrasto con le stesse autorità statali e con il governo federale della Nigeria per il quale i diritti dei popoli e la salvaguardia dell’ambiente sono questioni secondarie di fronte agli interessi economici.

Negli anni ’50 infatti, la scoperta di grandi giacimenti petroliferi richiama immediatamente l’attenzione di grandi multinazionali – in particolare Mobil, Chevron, e Shell – che si stanziano nel territorio del Delta del Niger per sfruttarne le preziose risorse. Ken Saro Wiwa, appartenente all’etnia degli Ogoni, da sempre stanziati nel Rivers State – uno dei 36 federati della Nigeria – si fa portavoce ufficiale delle rivendicazioni di questo popolo. I giacimenti di petrolio infatti, diventano una vera e propria tragedia per gli Ogoni. Dediti all’agricoltura e alla pesca fin dai tempi più remoti, si vedono improvvisamente costretti all’emigrazione e alla miseria e addirittura alla morte a causa dell’inquinamento prodotto dalle multinazionali del petrolio con la complicità della classe dirigente politica e militare del Paese. Le continue trivellazioni, le enormi quantità di gas bruciato, le piogge acide, non fanno altro che devastare il loro territorio – ridotto ormai a un immenso acquitrino di acqua e petrolio – compromettendone in modo definitivo la situazione ambientale dell’area. E gli Ogoni, vittime di questo scempio, non traggono neppure il minimo vantaggio economico dallo sfruttamento delle loro terre.

Ken Saro Wiwa cerca di attirare il massimo dell’attenzione su quanto sta accadendo sul Delta del Niger e a causa del suo attivismo diventa ben presto, per il governo nigeriano, un personaggio scomodo e da controllare. Nel 1990 Saro fonda il MOSOP (Movement for the Survival of the Ogoni People ). È con questo movimento che ottiene finalmente la tanto ricercata attenzione internazionale e con una grande manifestazione, che vede mobilitate 300 mila persone a testimonianza del feroce sfruttamento perpetrato dalle multinazionali del petrolio e in particolare dalla Shell.

La Shell infatti ha forato nello Rivers State, 96 pozzi petroliferi, costruito due raffinerie, un complesso petrolchimico, una fabbrica di fertilizzanti e una ragnatela di oleodotti lunga quanto la distanza tra Londra e New York. Nel 1992 Saro Wiwa pubblica il libro Genocide in Nigeria: the Ogoni Tragedy e presenta al governo nigeriano l’Ogoni Bill of Rights, un documento in cui si chiede l’autonomia regionale ed un parziale controllo delle risorse naturali presenti nel territorio.

Di fronte alle crescenti proteste, la Shell nel 1993 decide di abbandonare i territori Ogoni. Siccome l’80 per cento dell’economia nigeriana si basa sui profitti derivati dal petrolio e circa la metà delle entrate provengono dalla stessa Shell, la decisione della multinazionale non fa altro che inasprire la repressione del governo nigeriano nei confronti dell’etnia Ogoni, del Mosop e dei principali suoi attivisti.

L’esercito guidato dal generale Sani Abacha, tortura e uccide migliaia di Ogoni e nel 1994 lo stesso Ken Saro Wiwa viene arrestato.

È con queste parole che si rivolge alla corte che lo condannerà a morte: ”Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive in una terra generosa di risorse, provo rabbia per la devastazione di questa terra. Io e i miei compagni non siamo i soli sotto processo. Anche la Shell è uno degli imputati. L’azienda è riuscita a sottrarsi a questo processo ma verrà anche per lei il giorno del giudizio”.

Nonostante le pressioni delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, del governo canadese e australiano, e in misura minore di Francia e Germania, dopo un processo farsa, Ken Saro Wiwa viene riconosciuto colpevole di omicidio e impiccato insieme ad altri otto attivisti a Port Harcourt il 10 Novembre 1995. La sua esecuzione provoca un vero e proprio incidente diplomatico. Stati Uniti e Unione Europea richiamano i propri ambasciatori e la Nigeria viene sospesa dal Commonwealth.

Ma pochi giorni dopo l’esecuzione di Ken Saro Wiwa, l’Agip insieme alla Shell, firma il contratto di un nuovo progetto in Nigeria per la liquefazione del metano e la costruzione di metanodotti.

La lotta di Saro Wiwa si conclude così in una maniera doppiamente tragica, ma la sua morte non è stata del tutto vana. Ora si è consapevoli che Ken Saro Wiwa è stato ucciso perché combatteva per proteggere l’ambiente in cui viveva, un ambiente che era molto di più del semplice paesaggio fisico saccheggiato e deturpato dalle multinazionali del petrolio. La sua era una lotta sia ambientale sia sociale. È per questo che nella figura di Kenule Benson Tsaro Wiwa confluiscono ideali quali la libertà civile e la lotta la razzismo, ambientalismo e lotta al capitalismo, ecologia e diritto al lavoro.

La vera prigione ( K. Saro-Wiwa)

Non è il tetto che perde
Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
Nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
Mentre il secondino ti chiude dentro.
Non sono le meschine razioni
Insufficienti per uomo o bestia
Neanche il nulla del giorno
Che sprofonda nel vuoto della notte
Non è
Non è
Non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato
Le orecchie per un’intera generazione
E’ il poliziotto che corre all’impazzata in un raptus omicida
Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
In cambio di un misero pasto al giorno.
Il magistrato che scrive sul suo libro
La punizione, lei lo sa, è ingiusta
La decrepitezza morale
L’inettitudine mentale
Che concede alla dittatura una falsa legittimazione
La vigliaccheria travestita da obbedienza
In agguato nelle nostre anime denigrate
È la paura di calzoni inumiditi
Non osiamo eliminare la nostra urina
E’ questo
E’ questo
E’ questo
Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
In una cupa prigione.